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Chiese

CHIESA SAN PASQUALE:

Correva l’anno 1726 quando venne introdotto il culto per S. Pasquale a cui fu dedicato, nell’antica chiesa di S. Pietro e Paolo, un altare con quadro del santo. Eventi prodigiosi accaduti negli anni seguenti fecero maturare la decisione di adottare S. Pasquale come protettore del paese; si decise di dotare la chiesa di una statua lignea e l’incarico fu affidato allo scultore napoletano Domenico Di Venuta.

Nell’Agosto del 1730 tre uomini di Stio si portarono in Napoli per il ritiro della statua. La leggenda e la tradizione orale dicono che uno di essi abbia sognato S. Pasquale che gli consigliò di non accettare la statua che lo scultore avrebbe loro presentato il mattino dopo, bensì l’altra che il Di Venuta custodiva nel laboratorio; cosi fu fatto malgrado le opposizioni dell’artista. La prima parte del viaggio avvenne per mare, da Napoli ad Agropoli, qui la statua fu prelevata da trenta giovani che a spalla la portarono a Stio dove arrivò l’ultima domenica di Agosto di quel 1730. Il percorso da Agropoli a Stio durò tre giorni e toccò i paesi della valle dell’Alento: Ogliastro, Cicerale, Ostigliano. La statua fu deposta nella chiesa di S. Pietro e Paolo, e nell’anno 1870 fu portata nella chiesa madre attuale dove è oggi. Fino al 1890 la festività del 17 Maggio era solo religiosa senza processione e manifestazioni esterne; si dava solennità solo alla festa dell’ultima domenica di Agosto a ricordo dell’arrivo della statua. Le offerte del popolo erano in prevalenza prodotti della terra; molto suggestiva era l’offerta del grano e dei ceri. Il grano era deposto in grossi canestri di vimini, ricoperti da variopinte tovaglie ricamate, e addobbati con colorati nastri; i ceri si disponevano attorno ad un’armatura lignea di supporto detta “la centa“. I canestri pieni di grano e le “cente” venivano portate in processione per le strade del paese, in bilico sulla testa, e poi depositate in chiesa. Ricordo personalmente questa processione; oggi resta solo l’offerta delle cente, è del tutto scomparsa l’offerta dei canestri di grano. Permane ed è molto sentita la tradizione votiva di vestire tutti i neonati, maschi e femmine, con l’abitino francescano da portare da una festività all’altra.
Fino al 1930 si è conservata un’usanza antica tipica del mondo rurale contadino; al parroco si offriva una quantità di grano pari al peso del piú piccolo dei bimbi che vestivano l’abito francescano, e ancora più particolare era il modo della pesata: si usava un’asta a bilanciere con il bimbo da una parte mentre il grano si depositava dall’altra fino all’equilibrio.